112. Non uccidete la Psicologia: sul caso del “processo” a Giancarlo Ricci

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Alessandro Benigni

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(Aggiornamento: su Critica Scientifica di Enzo Pennetta, le mie considerazioni sul limite, evidentemente oltrepassato con questa vicenda, e con quelle analoghe della dott.ssa Silvana De Mari e del prof. Andrea Zhok)

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Non esiste “una verità“, men che meno definitiva, che possa dirsi “Psicologica”, né “Psichiatrica”, né di “Scienze Psicologiche”, etc.

Contro chi oggi pretende di imporre una sola visione (debole e contraddittoria, oltretutto) sulle altre: basta un minimo di Storia della Psicologia e di Epistemologia per mostrare come la Psicologia vive e progredisce solo nella dialettica di posizioni e idee contrapposte e pretendere di zittire le voci diverse da quelle del pensiero dominante significa in realtà porre fine alla scienza stessa.

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  1. Senza libertà, la scienza muore.


La Psicologia, come ogni scienza, si nutre della differenza e della dialettica.  Se è vero, come scrive Jules Verne, che “la scienza è fatta di errori utili, che a poco a poco ci portano alla verità” non dovrebbe stupirci che la strada degli scienziati, anche dei più grandi, sia lastricata di sbagli e cantonate. Questo vale anche per la Psicologia. Ma come possiamo scoprire gli errori, se non è concesso criticare? Com’è possibile propgredire se non è lecito dubitare dell posizioni che oggi si pretende di assumere per “vere”, senza discussioni? Anche se solo volessimo rifarci fedelmente al cuore del metodo galileiano – cosa che in Psicologia è difficilissima – ovvero alla “verifica sperimentale”, resteremmo comunque ben collocati nell’ambito di una straordinaria libertà: quella di formulare ipotesi, appunto. Anche le più azzardate, ma con la consapevolezza di poterle verificare, nella dialettica delle opposte teorie e delle reciproiche confutazioni. Nel nostro immaginario collettivo si è però cristallizzata l’idea di una scienza che non può – e non devesbagliare. E questo è pericoloso, perché così si finisce con il pretendere (ed infine col concedere) che ci sia una sola voce, a dettare la “verità” della scienza. La struttura delle rivoluzioni scientifiche di Thomas Kuhn, ha messo in discussione i modelli puramente logici della struttura della scienza e li ha sostituiti con un modello storico e dinamico, secondo il quale la natura fondamentale della scienza è precisamente illustrata da trasformazioni concettuali rivoluzionarie – la transizione dalla fisica di Newton a quella di Einstein, per esempio – in cui un quadro o paradigma omnicomprensivo viene scalzato da un altro, radicalmente diverso. Il quadro della scienza dato da Kuhn è ora anch’esso il fulcro di una nuova disciplina accademica, la Storia e della filosofia della scienza, una metadisciplina che negli ultimi decenni ha suscitato una sempre maggiore attenzione. Quest’ambiente di studio riguarda anche la Psicologia. Anzi, come mostrerò qui sotto, oserei dire soprattutto la Psicologia e le scienze ausiliarie ad essa collegate.

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E fa una certa impressione assistere ad uno scadimento del dibattito al punto in cui oggi siamo precipitati, per cui alcuni Psicologi (nell’ultimo caso un teraputa stimato ed affermato, già Giudice Onorario al Tribunale dei minori di Milano: Giancarlo Ricci), si parla addirittura di “processo“, per le loro teorie (loro e di molti altri, ampiamente condivise e condivisibili, come nel caso di Ricci), per le loro idee, per le loro posizioni filosofiche o psicologiche.

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Eppure “la Scienza” – psicologia compresa, se non vuole scadere nella più becera ideologia – vive nella e della diversità delle posizioni. Senza libertà di ricerca e teorizzazione, nessuna scienza è possibile.

A chi oggi sembrerebbe sostenere il contrario io chiedo: ti dunque morta la maestra? Pare di sì. Son cose che si studiano a Psicologia I. Eccome se si studiano. O perlomeno: a noi el facevano studiare. Altrimenti Psicologia II non potevi darlo. Le basi, insomma, i primi passi. Quelli che tutti conoscono, o dovrebbero conoscere, per lo meno tutti quelli che hanno avuto a che fare con i rudimenti della materia. E’ l’ABC. “Origini e storia della psicologia”: la psicologia ha, da un lato, una lunghissima preistoria e, dall’altro, una storia relativamente breve. E’ una “scienza” giovane, giovanissima, ma che ha per oggetto un antico interesse dell’uomo. E, comunque sia, è una storia di libertà.

La faccio breve. Brevissima. Qualunque sia la definizione di “Psicologia” a cui ci si voglia riferire, si deve convenire che l’interesse da essa suscitato traspare già dai documenti dei popoli antichi. Ma è con l’avvento della filosofia greca che compaiono le prime trattazioni sistematiche. Il termine “psicologia” (dal gr. ψυχή “anima” e λόγος “ragionamento, discorso”) significa letteralmente “dottrina dell’anima”; ed è tutto greco (anche se sembra sia stato coniato da Melantone nella forma latina psychologia e specialmente messo in circolazione da Rodolfo Goclenio, che nel 1590 diede il titolo di Ψυχολογία a un suo trattato De hominis perfectione). 

Senza entrare nel dettaglio (anche se la storia della Psicologia è entusiasmante) nella filosofia di Platone s’incontra per la prima volta una vera e propria psicologia, come particolare dottrina speculativa concernente la natura dell’anima. In seguito, è Aristotele, come sempre, che forse è stato il per primo a parlare di ψυχή “anima” e λόγος, in senso unitario: è all’interno della sua Biologia, un libro che è parte della Fisica, che troviamo la  Psicologia – o  dottrina dell’anima (come s’è detto, in greco psyché): l’anima è infatti per Aristotele il principio della vita (bios), che negli uomini è principio anche delle funzioni intellettive (pensiero e volontà) ed è l’anima “intellettiva”. La conoscenza umana ha inizio sempre dalla percezione delle forme sensibili: all’interno di queste l’intelletto scopre le forme, cioè le essenze, le strutture intelligibili dei vari enti mediante un processo complesso dal particolare al generale, chiamato “induzione”. L’intelletto prima di apprendere le forme è in potenza rispetto a esse, ma nel momento in cui le apprende si identifica in atto con esse. E così via. 

Bello vero? Tenete a mente queste idee strepitose. Ricordate che Aristotele ci saluta nel 322 avanti Cristo. E da allora (son passati quasi 2.400 anni!) nella Storia della Psicologia è stato tutto un susseguirsi di teorie, idee, ipotesi, congetture, sempre diverse ed in lotta (dialettica) tra loro.

 Perché mai – proprio oggi – dovremmo essere arrivati al dunque?

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  1. Una storia di contrapposizioni (e di libertà)

Già dalla diversità dei suoi metodi e dei suoi scopi si sarà intuito che la Psicologia si presenta come una disciplina complessa e multisfaccettata e soprattutto in continua evoluzione. Lo ripeto: non esiste alcun “Ministero della verità”, di orwelliana memoria. Né per questa, né per altre discipline affini. Lo si vede partendo dalle sue origini rintracciabili nelle trattazioni filosofiche dell’antica Grecia e ripercorrendone la storia e v o l u t i v a, passando dai primi laboratori sperimentali in Germania, dalle sedute del dottor Freud a Vienna, per arrivare alle moderne simulazioni di comportamento. 

Chi va d’accordo con chi?

Nessuno.



Non è una battuta. E non è il rispolvero dei miei ormai antichi 30 e Lode in materia. E’ invece un banale un dato evidente, che ciascuno può verificare: già Aristotele, non la pensava affatto come Platone. Vogliamo fare un salto, che ne so, di dieci secoli? Uguale: gli Scolastici non andavano d’accordo, né con Platone e né con Aristotele (seppure avessero un debole per quest’ultimo). Andiamo avanti? Peggio che andar di notte: nell’Umanesimo e nel Rinascimento abbiamo i filosofi-maghi-ermetici, che – eccezion fatta per Pomponazzi (che comunque daccapo non va d’accordo con gli altri del suo tempo) un po’ riprendono Platone, un po’ guardano con intrigo  e stupore alle dottrine orientali, un po’ alla magia, un po’ fanno casino: da Valla a Pico della Mirandola al grande Marsilio Ficino, al complicatissimo Campanella, al geniale Giordano Bruno: una selva di teorie a volte oscure, a volte vertiginose, a volte illuminanti (come il De vinculis in genere  o il De umbris idearum di Bruno, per esempio), il cui filo comune è sempre lo stesso: tutti contro tutti.

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La scienza resta un sapere perfettibile. Un work in progress. Anche e – direi soprattutto – dopo l’astronomo polacco che muore appena dopo aver pubblicato il suo capolavoro, il De revolutionibus orbium coelestium, anche dopo Galileo, anche dopo il politicante Bacon (che di Psicologia della conoscenza era davvero un esperto). E ancora: vogliamo parlare di chi ha tagliato in due la realtà umana, in un modo così geniale e potente che ancora oggi per forza i neuroscienziati si devono confrontare con lui (si pensi ad Antonio Damasio, L’errore di Cartesio)? Ma certo che no. Ci sarebbe da star qui per qualche mese a discuterne. Uno contro tutti: Cartesio. E Leibniz? Un altro grande psicologo. Daccapo: Leibniz contro tutti. Poi arriva l’Empirismo e ne vediamo delle belle: citiamo solo Hobbes, Locke, che ne so, Berkeley. E’ un empirista? Bah. Ci sarebbe da discuterne. Ma io dico: l’avete letto che ne so, almeno il Legrenzi? E che diamine. Ha scritto una Storia della Psicologia, io direi “per tutti” (Il Mulino, Bologna, 1980). Sfogliatelo. Vedreste un fedele ritratto di una storia di libertà.

E di rispetto.

Vedreste che l’associazionismo nasce con Hume (e non nell’Ottocento, con Mill, come qualche studente che si è preparato sui riassunti qualche volta osa affermare).  Una strada che poi prosegue con Ebbinghaus, Pavlov, Bechterev e Thorndike (siamo fra il 1885 e il 1910). Sempre, come al solito, tutti contro tutti.

Poi arriva il 1879, la Germania è grande, il tedesco Wundt ha per primo una celebre intuizione e decide di provare ad indagare “scientificamente” la psiche fondando il primo laboratorio di psico-fisica, Lipsia.

E con Wundt si chiude il passato di millenni e inizia la lunga storia della psicologia moderna. E’ qui che la psicologia acquista una dimensione radicalmente nuova assumendo i criteri metodologici della sperimentazione e della quantificazione; in questo senso appunto, identificando la storia della psicologia con la storia della psicologia sperimentale e quantificata, è lecito dire che quest’ultima ha poco più di cent’anni di vita. Sarà mai questo un periodo di accordo? Ma manco per idea. Sempre peggio: alcuni seguono i sentieri inaugurati da Condillac, Hélvetius, La Mettrie, Cabanis, etc. Ma altri si dedicano al legame tra Psicologia e Matematica: Herbart. Altri parlano di psicofisica: Fechner. Altri scoprono il ruolo della statistica: ancora Ebbinghaus.

Poi arrivano i fisiologi. Bell e Magendie mostrano l’indipendenza delle vie sensoriali dalle vie motorie. E si apre un nuovo filone di ricerca.

Si contrappongono intere scuole: lo strutturalismo va avanti per conto suo. L’introspezionismo, pure. Il funzionalismo guarda a Darwin e cerca di comprendere il legame tra i processi mentali e l’adattamento. Dall’altra parte del mondo la psicologia sovietica fa passi da gigante: progredisce la riflessologia, Vygotskij è il maestro indiscusso di un intero, isolato, filone di ricerca: un genio senza pari, che mette a fuoco il concetto di interiorizzazione, si occupa di genesi e funzione del linguaggio, su cui il grande biologo e poi psicologo Jean Piaget avrà molto da ridire.

Durante la seconda guerra mondiale emerge la figura di Lurija, che s’interessa dei disturbi che seguono alle lesioni cerebrali (tipiche dei feriti in battaglia).

Poi è il turno della Psicologia della Gestalt: l’anti-elementarismo contro tutti. Nominiamo Wertheimer, Lewin, che ne so: Tolman, Hull. Chi non ha mai sentito parlare di Skinner? E’ a lui se sappiamo – oggi più che mai – che il comportamento umano è manipolabile.

E beh. Poi il “Maradona della Psicologia”: il dottor Freud. Il geniale cocainomane che ha cambiato, una volta per tutte, l’immagine dell’uomo. Insieme a Marx e a Nietzsche, secondo Ricoeur, ma questa è un’altra storia.

E poi ancora l’uomo che amava i molluschi, Jean Piaget e lo studio del bambino. Pensate che questo gigante aveva già capito tutto solo guardando ai suoi figli. E ai molluschi, ovviamente. Andrebbe rivalutato.

E poi ancora, oltre l’epistemologia genetica: il Cognitivismo contro tutti. E Bruner e le figlie e i nipoti di Freud che diventano grandi: da Anna Freud a Melanie Klein: E Winnicott? E come no. Pure il vecchio Donald, ad entrare in scena e mettere i suoi paletti, i suoi distinguo: la preoccupazione materna primaria, gli atteggiamenti materni, lo sviluppo del Sé, l’importanza del gioco, il fenomeno transizionale, il concetto di patologia. E tanta roba ancora. Tantissima.

Pensate che ci sia omogeneità, accordo, anche minimo, tra questi nomi (e ne abbiamo fatti solo alcuni, ovviamente)?

Ma certo che no.

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  1. La Psicologia è in pericolo.

E per quale dannata ragione, oggi, un pensiero debole come quello di “una” tra le tante correnti psicologiche, vorrebbe o potrebbe imporre la sua visione su tutte le altre?

E’ così che è sorta e si è sviluppata la Psicologia.
E’ così è cresciuta: nella dialettica tra posizioni molto diverse, spesso inconciliabili tra loro.

E’ così che questa scienza, come tutte le altre scienze, vive e sopravvive: nel confronto.
E’ una scienza importante, oltre che bellissima.
Difendete il diritto di ricerca e di parola di tutti gli addetti ai lavori.

Non uccidete la Psicologia.

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Per inciso: lo psichiatra Crepet contro l’utero in affitto: «Nazismo puro»

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Sull’importanza dell’attaccamento intrauterino, citato in diretta da Paolo Crepet, documento 1, documento 2, documento 3 (oltre ovviamente ad una imponente bibliografia che si trova negli studi).

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