Vincenzo Costa, Filosofia e scienza nell’epoca della pandemia: un paio di considerazioni veloci

Appena uscito su Amazon in formato eBook, per le edizioni Morcelliana, l’ultimissimo lavoro di Vincenzo Costa (non credo che l’autore abbia bisogno di presentazioni).

Si tratta di una riflessione snella e ben articolata sulla nostra contemporaneità, nel difficile tempo della Pandemia.

Che cos’è la Scienza e che cos’è la Filosofia? Qual è la loro identità, quali i loro statuti? Come possono dialogare in modo proficuo filosofi e scienziati? Quali sono i rispettivi limiti, da conoscere e mantenere, affinché le opposte critiche risultino fondate e utili al progresso comune? E ancora: qual è il ruolo dei media, nel processo di formazione – informazione – disinformazione che con l’attuale pandemia è saltato agli occhi di tutti?

Mi sembrano questi, almeno in sintesi, gli interrogativi principali che fanno da guida allo svolgimento, che si protrae per 4 punti nodali

1. La funzione critica della filosofia
2. Pandemia e dispositivi disciplinari: le radici filosofiche del complottismo
3. Democrazia e scienza
4. La mediatizzazione della pandemia

Il condensato teorico ed argomentativo che ne esce è agile e snello, piacevole per la sua scorrevolezza e comunque ricco di rimandi sia testuali sia a studiosi che possono dirci ancora qualcosa, per tentare un non facile processo di stabilizzazione, di rientro delle esondazioni filosofiche (a volte ideologiche) e scientifiche (a volte scientiste) che ci hanno travolto in questi mesi.

Nel complesso, una una boccata d’ossigeno razionale, di ragione dispiegata con pacatezza e rigore filosofico (sia pure senza la argomentativa che però è sottesa e si capisce benissimo senza doverla cercare tanto tra le righe) in un momento drammatico sia per la coscienza civile, sia per la filosofia.

Vincenzo Costa si muove con piacevole agilità tra quelle che sono diventate derive da tifoserie opposte, rimarcando il ruolo di una Filosofia che può (deve) tornare ad essere “scienza rigorosa“, per dirla alla Husserl, ed indicando l’unica strada possibile per uscire da questo triste momento: quello del dialogo, del rispetto dei ruoli e degli ambiti, della critica fondata su studio, ricerca, partecipazione democratica al progetto del bene comune, e non invece della pura ideologia, sia essa filosofica o scientista. Deliziosa, in particolare, l’analisi del complottismo (anche filosofico, purtroppo).

Lapidario quanto cristallino, in alcuni passaggi che sarebbero da incorniciare:


“La medicina la devono fare i medici, e il filosofo deve solo (e non è poco) produrre un surplus di consapevolezza relativo all’ambito concettuale entro cui lo scienziato si muove. Ma guai se il filosofo intendesse parlare di medicina. Per farlo deve avere una competenza medica, e magari un dottorato, meglio ancora un dottorato specifico su quel determinato campo, altrimenti si espone a critiche giustificate o, talvolta, al ridicolo. Nessun filosofo della medicina si farebbe curare da un altro filosofo della medicina: si rivolgerà a un medico! Durante la pandemia si è assistito a un cortocircuito tra queste due differenti competenze, e c’è stata la tentazione, in alcuni filosofi, di competere con i medici, cercando di mostrare di essere in possesso di dati migliori, cure migliori, una migliore competenza scientifica, addirittura vi è stata la tentazione di dimostrare che gli scienziati dicevano sciocchezze sui vaccini, sul livello di sicurezza dei tamponi, sulle previsioni epidemiologiche”.

… capace di una critica pacata ma allo stesso tempo severa, quando è il caso:

“Ma quando si nega la portata della pandemia, quando si demonizzano i vaccini (cosa diversa da una ragionevole cautela), quando si critica tutto e ci si appella al mero individualistico “liberi tutti”, quando non si spende mai una parola di critica verso l’irrazionalità e gli aspetti deliranti di coloro che in ogni cartaccia per terra trovano una conferma del complotto, allora questa critica e coloro che la sostengono perdono di credibilità, la critica diviene il credo di una setta. E le sette poi sviluppano un loro senso di accerchiamento, di oppressione, cercano anche il sacrificio. Hanno bisogno di sacerdoti.”

… quindi maestro del dubbio, ma a 360°:


“Ancora una volta, supponiamo che si sviluppi un’epidemia di peste, e che per fronteggiarla sia necessario impedire i contatti: dovremmo concettualizzare queste misure come “meccanismo di potere”?”

eccellente nel mostrarci che cosa significa analizzare filosoficamente i possibili errori di certe ipertrofie ideologiche, nelle quali spesso anche filosofi prestigiosi rimangono irretiti:

“Peraltro, il concetto stesso di dispositivo disciplinare viene immunizzato, non può essere sottoposto a critica, poiché chi lo critica viene subito etichettato come esponente del pensiero unico, come un collaboratore del potere, al massimo come la faccia pulita della repressione.”

E, naturalmente, molto altro ancora.


Un lavoro ideale per trovarsi, nel giro di pochi ed essenziali passaggi, con una bussola critica in grado di orientarci in questa foresta di voci contrastanti, in cui forse un po’ tutti ci siamo smarriti.

E chissà che avanti di questo passo, con letture come queste, non riusciamo a trovare la strada per uscirne, recuperando se possibile un autentico (in quanto razionalmente condiviso e condivisibile) spirito comunitario.

Alessandro Benigni

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