Introduzione al pensiero di Nietzsche (cap. 1: La filosofia della maschera e lo stile di Nietzsche, Le fasi del pensiero di Nietzsche, La metafisica dell’artista, La nascita della tragedia: apollineo e dionisiaco)

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Alessandro Benigni

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INTRODUZIONE

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La filosofia di Nietzsche è enigmatica e visionaria: quando ci si avvicina per la prima volta ai suoi scritti si può addirittura avere l’impressione che non siano veramente filosofici. Eppure Nietzsche è forse il filosofo che più di tutti ha influenzato il nostro modo di vedere e di sentire la realtà: se è stato un visionario e un enigmatico, non per questo il suo lavoro resta privo di una inflessibile logica interna.

Questa breve Introduzione al genio di Röcken, com’è naturale quando si parla di Nietzsche, tralascia molte cose. Parte dall’idea che la struttura del pensiero del Filosofo si basi sui concetti espressi in Così parlò Zarathustra, tanto che se lo si considera come il centro della filosofia di Nietzsche risulta più facile capire i nessi che legano tra loro tutti i suoi argomenti principali, a partire dalla concezione circolare del tempo, del non-senso della storia, del significato dell’oltre-uomo, dell’amor-fati e della volontà di potenza.

 

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La filosofia della maschera e lo stile di Nietzsche

 

Uno dei temi più ricorrenti della filosofia di Nietzsche è la spietata e violenta (s)valutazione del passato: una negazione ed un rovesciamento di tutte le tradizioni, l’annuncio di una svolta radicale. Nietzsche è il filosofo che, senza complimenti, mette in dubbio e critica spietatamente tutta la storia della cultura ed in particolare della filosofia occidentale. Egli sovverte i valori tradizionali ed è rivolto al futuro: propone un programma, un ideale che è assolutamente nuovo. Ma, prima di tutto, il suo pensiero è di difficile interpretazione. Difficile per la forma, difficile per il contenuto: giustamente i critici sono d’accordo nell’osservare che la filosofia di Nietzsche rimane quasi sempre dietro la maschera e che nella sua opera è più ciò che rimane nascosto di quanto non sia manifesto. Questa difficoltà di interpretazione sembra derivare più che altro da due cause: 1) si tratta di un pensiero in continua evoluzione (manca di una sua sistematicità formale che possa facilitare una riduzione in schemi semplici); 2) si tratta di un pensiero appunto mascherato, che si esprime mediante un continuo e sofisticato gioco di aforismi in cui si intrecciano simboli, metafore e allegorie.

Tale gioco rispecchia una convinzione di fondo: per Nietzsche l’uomo non è costituzionalmente in grado di abbracciare l’essere, comprenderne il significato, ma può solo coglierne le maschere, ovvero l’apparenza.

La storia della cultura – e quindi la storia della filosofia – non è per Nietzsche che la storia degli errori dell’umanità, anzi la storia di un unico grave errore millenario: una storia che egli contrasta come se sentisse un obbligo smisurato, perfino nei confronti delle sue stesse idee. Questa è, prima di tutto, la storia del fraintendimento e della falsificazione del concetto di verità. Concetto difficile, questo: in Nietzsche la verità finisce con l’abbandonare il piano della conoscenza per invadere il piano del valore. Anche per questo, tra gli altri motivi, credo sia possibile dire che tutto il pensiero di Nietzsche abbia in fondo un carattere morale: determinazioni come vero e falso sono per il Filosofo solo una finzione: l’autentica questione diviene piuttosto la realizzazione più piena dell’uomo, un problema, appunto, eminentemente morale. Verità e falsità non sono più i contenuti della conoscenza ma i modi con cui l’uomo si rapporta alla vita, le strade che egli sceglie per la realizzazione dell’esistenza. Non a caso la critica di Nietzsche assume la forma di un attacco alla metafisica occidentale e viene condotta proprio sul piano del valore. Quello che Nietzsche ci lascia, al termine di questa opera distruttrice, non sarà quindi un’ennesima metafisica, ma piuttosto una “filosofia della vita”, una “filosofia dei valori”. Anche da questo punto di vista la critica ha opportunamente sottolineato l’equazione fondamentale posta da Nietzsche: “essere = valore”.

Da un punto di vista stilistico, sia la parte distruttiva che quella costruttiva vengono articolate in modo enigmatico, mascherato: Nietzsche è scrittore raffinatissimo, padrone del ritmo del prosare e agile nella freddezza dell’aforisma. Anche in questo senso può essere interpretata una delle sue massime più taglienti: “Ghiaccio liscio, un paradiso per chi è bravo nella danza”: là dove il pensatore comune scivola facilmente, il genio si trova perfettamente a suo agio. Il suo è un pensare potente, che ben si adatta alla dimensione espressiva non solo dell’aforisma ma anche, più in alto, della poesia. La sua forma stilistica è come regolata dal susseguirsi di fotogrammi abbaglianti. Egli non pensa nella forma faticosa dell’espressione concettuale, per lunghe catene di pensieri. Come pensatore è intuitivo, allegorico, di una straordinaria energia di visualizzazione: ogni immagine contiene però simboli che vanno adeguatamente interpretati.

Cerchiamo quindi di procedere ad una possibile interpretazione del capolavoro nietzscheano.

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LE FASI DEL PENSIERO DI NIETZSCHE

Disponiamo il pensiero di Nietzsche in quattro fasi:

1) fase della metafisica dell’artista

2) fase dell’illuminismo

3) fase dell’Annuncio di Zarathustra

4) fase della Volontà di potenza (incompiuta)

1) Fase della “metafisica dell’artista”. La critica della morale, del platonismo e del cristianesimo sono già evidenti, anche se in forma embrionale, in questa prima fase. Il tema dominante è l’estetica, ma si tratta di un’estetica ancora supportata dalla metafisica: l’arte viene qui promossa da Nietzsche per la sua capacità di cogliere l’essenza della realtà. Essa diventa l’organon della filosofia e viene considerata la più importante via effettiva di apertura all’essere, la comprensione originaria alla quale segue il concetto.

2) Fase “dell’illuminismo” (o del ripudio totale della metafisica), in cui Nietzsche si serve della scienza per criticare ogni posizione metafisica.

3) Fase “dell’Annuncio” che ha come espressione l’opera centrale “Così parlò Zarathustra“. Con quest’opera Nietzsche conclude la fase di critica alla cultura occidentale, portando a compimento lo spostamento del problema della verità dal piano conoscitivo a quello dei valori.

4) Fase della “Volontà di potenza”, rimasta incompiuta.

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LA METAFISICA DELL’ARTISTA

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Gli studi filologici e la critica della cultura

Fin dagli esordi universitari Nietzsche si mostra un giovane di straordinario talento. Profondamente colpito dalla ricchezza della cultura e dell’arte greca, nella quale intravede la manifestazione più completa e seducente della vita, si laurea giovanissimo in filologia ed inizia la carriera accademica a soli venticinque anni. Nel frattempo approfondisce i motivi che saranno più tardi alla base della sua critica radicale di tutta la cultura europea, ai suoi occhi colpita da una mortale decadenza. Nietzsche si trova ora in sintonia con gli scritti di Schopenhauer e con il rinnovamento estetico promosso da Richard Wagner, ma anche in contrapposizione polemica con grandi autori come Goethe, Schiller e soprattutto Winckelmann (colpevoli, ai suoi occhi, di non essere riusciti a far emergere con chiarezza il significato autentico dello spirito greco). Da qui nasce l’intenzione di descrivere la tragedia greca e di analizzarne le implicazioni filosofiche, mentre viene maturando il rifiuto della filologia accademica: incapace di guardare al passato in modo creativo, la filologia tradiva lo spirito più autentico della classicità, riducendolo a mero repertorio archeologico.

La nascita della tragedia: apollineo e dionisiaco

 

Nel 1871, quando Nietzsche aveva soltanto ventisette anni (ed era già da due anni professore di filologia classica all’Università di Basilea), apparve la sua prima opera: La nascita della tragedia dallo spirito della musica. Come è stato osservato da molti critici, quest’opera contiene quasi tutti gli elementi della sua filosofia: il contrasto dell’apollineo e del dionisiaco, che rimarrà una costante del suo pensiero (nella forma di contrasto tra visione forte e visione debole, malata, del mondo); la considerazione dell’arte come strumento per interpretare l’esistenza; la necessità di restare fedeli ai valori della terra, la prospettiva genealogica, soprattutto nella sua forma di attacco a morale, metafisica e religione (qui anticipate dall’atteggiamento socratico e dalla sua influenza sulla tragedia di Euripide); il concetto eracliteo – fondamentale per Nietzsche – di gioco come apertura al tutto cosmico:

“Avremo acquistato molto per la scienza estetica, quando saremo giunti non soltanto alla comprensione logica, ma anche alla sicurezza immediata dell’intuizione che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco, similmente a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che interviene solo periodicamente. Questi nomi noi li prendiamo a prestito dai Greci, che rendono percepibili a chi capisce le profonde dottrine occulte della loro visione dell’arte non certo mediante concetti, bensì mediante le forme incisivamente chiare del loro mondo di dèi. Alle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si riallaccia la nostra conoscenza del fatto che nel mondo greco sussiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte dello scultore, l’apollinea, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: i due impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro e con un’eccitazione reciproca a frutti sempre nuovi e più robusti, per perpetuare in essi la lotta di quell’antitesi, che il comune termine “arte” solo apparentemente supera; finché da ultimo, per un miracoloso atto metafisico della “volontà” ellenica, appaiono accoppiati l’uno all’altro e in questo accoppiamento producono finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia attica”. (La nascita della tragedia, § 1)

Dunque Apollo simboleggia la dimensione plastica dell’esistenza: egli è il dio della chiarezza, della luce, della misura, della forma, della bella disposizione; Dioniso, invece, simboleggia il dio del caotico, dello scrosciante flusso di vita, del furore sessuale: il dio della notte, il dio della musica, ma non di quella rigorosa, frenata, che è soltanto una “architettura dorica in suoni”, ma piuttosto della musica seducente, eccitante, che genera tutte le passioni. In questa dimensione dionisiaca l’uomo non è più artista, è diventato egli stesso opera d’arte: la potenza artistica di tutta la natura, per il massimo appagamento estatico dell’Uno Originario, si rivela qui nei brividi dell’ebbrezza. L’ebbrezza è la marea cosmica, un delirio bacchico, che spezza tutte le forme, strappa, risucchia, annulla tutto ciò che è finito e isolato in un grande slancio vitale.

La “Nascita della tragedia”, nonostante non sia esteriormente un testo filosofico, resta forse il più importante per capire Nietzsche. Nella Nascita il filosofo di Röcken intende prima di tutto criticare il mito della «bella grecità»: questa concezione, di impronta classicista, trovava una corrispondenza tra la misura, l’armonia e la serenità delle opere greche con l’armonia e la serenità dello spirito dei greci. Fondamentale è qui anche il riferimento critico a Hegel, secondo cui questo mito sarebbe un’espressione dell’armonia sostanziale tra l’essere e l’apparire, quindi, per dirla con il lessico hegeliano tra lo Spirito Assoluto e le sue manifestazioni (il tutto in un orizzonte ottimistico). Rivolgendosi contro queste idealizzazioni del mondo greco, inteso come (presunto) regno della serenità e dell’armonia – predominanti nella cultura tedesca a partire da Winckelmann – Nietzsche mostra come fossero presenti, in quello stesso mondo, anche altre componenti, tutt’altro che serene ed armoniose. Egli mette infatti in evidenza come nell’arte greca si possano individuare due distinte categorie, due volti dello spirito greco, i cui nomi sono legati a quelli di due divinità, Dioniso e Apollo, da cui derivano rispettivamente lo spirito dionisiaco e quello apollineo. La filosofia di Nietzsche – si tratta di un punto rilevante da sottolineare – viene dunque formulata per la prima volta attraverso categorie estetiche, sotto la maschera dell’arte: apollineo e dionisiaco sono le due nozioni chiave che permettono a Nietzsche di interpretare e sondare non soltanto le origini della nostra civiltà, ma più in generale una autentica “filosofia della vita”. Soltanto con l’occhio dell’arte il pensatore riesce a vedere nel cuore del mondo. L’effettiva essenza dell’arte viene attribuita da Nietzsche al tragico: solo l’arte tragica riconosce la tragica essenza del mondo: l’esistenza è un gioco tragico e la tragedia è la chiave che schiude la vera comprensione del mondo e della vita. Il tragico è dunque per Nietzsche la prima formula fondamentale per la sua conoscenza dell’essere: esso viene inteso come principio cosmico e la tragedia antica diventa la chiave interpretativa di una antica visione del mondo. La scienza è ancora vista come incapace di cogliere questa essenza. Essa è uno strumento precario, problematico e non regge il confronto con la verità della tragedia, con quella verità che intuisce tutti gli aspetti, le forme e le figure secondo il gioco di creazione e distruzione della vita, che Nietzsche battezza col nome di Dioniso. Siamo così al formulazione del principio più interessante di questo scritto: il dionisiaco. Esso rappresenta la forza creativa, l’idea di dismisura, la volontà, la forza, la potenza, la dinamicità. Come vedremo più avanti, è il simbolo che personifica adeguatamente almeno un aspetto della Volontà di potenza. Il mondo è l’incarnazione di questa volontà, mentre l’altro principio, quello dell’apollineo si manifesta come serena armonia, proporzione equilibrata, sogno ed illusione, che nascondono ed allontanano il senso tragico della vita.

Alla irrazionalità e al dolore dell’esistenza, gli antichi Greci avrebbero quindi reagito con la tragedia di Eschilo e di Sofocle, in cui l’ispirazione fondamentalmente dionisiaca si trasfigura con la mediazione dello spirito apollineo e il senso del vuoto si traduce in forme equilibrate attraverso le mitiche immagini degli eroi. Si tratta di due forze contrastanti. Esse si sopprimono e si combattono l’una con l’altra, ma l’una non potrebbe esistere senza l’altra: la loro lotta, la loro discordia è anche in certo senso un accordo, un eterno principio vitale. Esse sono unite come i combattenti: considerate separatamente perdono il loro valore e la loro funzionalità: il dionisiaco è come il sottoterra, sul quale posa il mondo luminoso dell’apollineo. Proprio nella musica e nella lirica risulterebbe chiaro chi sia il vero soggetto dell’arte: non l’uomo che crede di praticarla, ma il principio dell’universo stesso, che agisce attraverso l’uomo. È qui evidente l’influenza di Schopenhauer: il principio stesso del mondo cercherebbe una sorta di redenzione dalla sua profonda e oscura cecità nella manifestazione del suo contrario, nella luminosità dell’apollineo. Il dolore della volontà irrazionale e senza pace cerca guarigione nell’illusione della bella apparenza, nell’apparente eternità della forma, nella stabilità della figura, nella misurata struttura delle cose che stanno in superficie, alla luce del sole. La tragedia era così musica dionisiaca e forma apollinea, un misto equilibrato di sogno ed ebbrezza, di luce e tenebre, ovvero: il lasciar apparire l’essenza del mondo in modo sopportabile. La grande tragedia greca, quella di Eschilo e di Sofocle, è la forma suprema dell’arte in quanto in essa si compongono in equilibrio i due impulsi apollineo e dionisiaco: la musica vi rappresenta il dionisiaco, mentre la vicenda tragica dell’eroe restituisce la definitezza apollinea.

Con l’età dei Sofisti, di Socrate e di Platone si afferma però una differente mentalità, una concezione ottimistica e razionalistica del mondo: si diffonde la dialettica, distruttrice di miti, e trionfa la razionalità che, imponendo la rinuncia alla conoscenza sensibile, con Socrate e Platone invita a rivolgere l’attenzione al mondo metafisico, al mondo ideale. Si assiste in questo modo al tramonto dello spirito dionisiaco, alla perdita dell’equilibrio delle due componenti in lotta armoniosa e quindi all’inizio del regresso e del disfacimento. La nascita della tragedia, a dispetto del suo titolo, parla dunque della storia di una decadenza, di una morte. Euripide infatti, sotto l’influsso di Socrate, elimina dalle sue tragedie gli eroi mitici ed esprime esclusivamente una visione apollinea della vita: Nietzsche vede il decadimento della tragedia nella vittoria della ragionevolezza socratica e in Euripide il trionfo dell’istinto logico su quello mitico. Apollo e Dioniso vengono dapprima posti soltanto come metafore per significare impulsi artistici contrastanti, l’antagonismo tra forma e musica. Ma alla fine apollineo e dionisiaco diventano il filtro di una visione superiore. Nella definizione di apollineo e dionisiaco, Nietzsche aveva utilizzato inizialmente due immagini altamente significative: «Per avvicinarci ulteriormente a quei due impulsi, pensiamoli innanzitutto come i separati mondi artistici del sogno e dell’ebbrezza: fra questi fenomeni fisiologici è possibile notare un contrasto corrispondente a quello tra l’apollineo e il dionisiaco» (La nascita della tragedia, § 1). Farà notare in seguito che queste due categorie non sono delle invenzioni filosofiche, ma piuttosto categorie reali dell’esistenza. Dobbiamo aggiungere che nella sua analisi di apollineo e dionisiaco Nietzsche prende di mira ancora una volta la filosofia hegeliana. Com’è noto per Hegel c’è assoluta coincidenza tra essere e apparire: per Hegel l’infinito, l’Idea Assoluta, si incarna progressivamente nelle cose di questo mondo. L’idea non è una realtà a parte, ma si identifica con la totalità delle sue incarnazioni: tutto si sposta quindi sul piano dell’apparire. Coerentemente, per Hegel anche il concetto di grecità non prevede una differenza sostanziale tra essere e fenomeni: l’essere è tutto nelle sue manifestazioni e non può essere pensato come «a sé stante», distaccato dal mondo. Ma Hegel finisce in questo modo per rendere inefficace la categoria di maschera (che invece per Nietzsche è fondamentale, ed ha una sua funzione anche utilitaristica: quella di rendere la vita umana sopportabile). Nietzsche è consapevole che esistono però due tipi di maschere: una maschera buona e una cattiva. Quella cattiva – la maschera apollinea – non ci mostra la realtà così com’è, ma ha la pretesa di ridurre, accomodare la realtà secondo i parametri umani, e così finisce col falsificarla.

Si noti per inciso che Hegel non avrebbe mai potuto accettare la categoria della maschera, se non contraddicendo la sua convinzione più profonda: la coincidenza di essere e apparenza. Nietzsche valuta invece l’ipotesi opposta, secondo la quale l’essere non coincide affatto con le sue manifestazioni. In realtà – secondo Nietzsche – noi temiamo che la realtà non sia in fondo così razionale come la vorremmo. Per l’uomo la vita è possibile solo se la realtà risponde a criteri di razionalità (criteri quindi rassicuranti). Solo a queste condizioni l’uomo può andare alla ricerca della ragione delle cose e vivere rassicurato dall’illusione di poter trovare un rimedio ad ogni problema. Ma se il mondo è regolato da una legge non-razionale, allora l’uomo si sente preda di una vita che non riesce più a dominare, della quale diviene vittima. La razionalità del mondo è quindi – secondo Nietzsche – una finzione, una maschera cattiva che l’uomo stesso ha posto sull’essere, per poter sopravvivere (ecco la funzione utilitaristica del concetto di maschera). Dei due tipi di maschere, quindi, la maschera cattiva è quella apollinea, poiché si tratta di una maschera utilitaristica, che serve all’uomo per tranquillizzarsi e per raccontarsi che il mondo segue delle leggi armoniche e razionali: essa non ci mostra la realtà così come è realmente. L’apollineo esprime dunque il tentativo di liberarsi dal dionisiaco, dalla dismisura, dalla non-misura. Si capisce così che la maschera buona è allora quella dionisiaca, quella che non cerca di far rientrare l’essere nelle categorie della razionalità umana, ma lo accetta invece nella sua totalità, nella sua misura così come nella sua dismisura, nel gioioso come nel tragico.

Non a caso secondo Nietzsche gli dèi sono il simbolo incarnato dell’apollineo. La funzione dell’apollineo è quella di dare forma e misura alla realtà: l’apollineo tenta quindi di liberare l’uomo dal dionisiaco (che è invece la maschera buona, perché tenta di provocare un’apertura totale all’Essere, in tutte le sue forme ed in tutte le sue manifestazioni, comprese quelle tragiche). Ricordiamo ancora che secondo Nietzsche il modo greco conosce entrambe queste categorie: l’uomo greco conosce molto bene sia l’apollineo che il dionisiaco. Non è quindi vero – come lascia intendere il mito della bella grecità – che il mondo greco è espressione di un mondo perfettamente armonico. Anzi, la stessa storia greca, secondo Nietzsche, è la storia di un conflitto profondo, di un continuo intreccio di apollineo e dionisiaco.

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(tratto da Alessandro Benigni, L’Annuncio di Zarathustra, Boopen, Napoli, 2007)