“Primo: verificare se siamo arrivati a tracciare e a interrompere la catena di trasmissione del virus. Io direi di no.
Secondo: ci siamo sufficientemente attrezzati per testare i sintomatici e rintracciare i loro contatti? Iniziamo adesso, e il monitoraggio dei contatti non è stato fatto: molti sono a casa con l’incertezza di quello che hanno o hanno avuto, o di quello che possono avere trasmesso a parenti e vicini di casa.
Ma è soprattutto il terzo punto a essere fondamentale: ospedali e residenze sanitarie sono stati messi in sicurezza? Ecco, questa è stata la maggior debolezza delle strategie messe in atto. Abbiano chiesto fin dall’inizio che venissero preservati dal contagio gli ospedali, mediante la strutturazione e l’attivazione di aree sanitarie alternative: non è stato fatto e credo che queste continuino a essere il luogo in cui il virus diffonde più rapidamente. La prima cosa da fare è controllare e mettere in sicurezza tutto il personale sanitario: è grave che non lo sia ancora fatto.
La quarta: ci sono misure idonee per la prevenzione? Il lockdown, molto criticato, ma necessario è stato applicato essenzialmente a luoghi pubblici, dove il virus si trasmette meno facilmente. Quindi ora servono regole molto chiare per luoghi privati e chiusi: famiglie e ospedali in primis.
Il quinto punto concerne il rischio del possibile ritorno di casi importati e più in generale dei contagi da soggetti asintomatici: anche su questo bisogna ancora lavorare. Infine, l’OMS chiede se la popolazione è adeguatamente informata. Ecco, spesso per rassicurare si rischia di non far capire la realtà ai cittadini: non mi pare che si sia capito che non è detto che si possa tornare alla “vita normale” in tempi brevi.
Gli studi previsionali messi in campo dai maggiori Istituti, come l’Imperial College e la Harvard School of Public Health, ipotizzano per almeno due anni periodi di quarantena “a singhiozzo”. Tutti speriamo di tornare alla nostra vita precedente, ma pensare di poterlo fare senza adeguate contromisure è sbagliato.
Quindi, per concludere, cosa possiamo e dobbiamo fare in pratica ora?
Quello che non è stato fatto all’inizio. Dobbiamo pensare l’estate come un periodo di programmazione, per evitare da un lato le quarantene a singhiozzo ipotizzate, ma soprattutto per scongiurare il “peggiore scenario possibile”: quello di una seconda ondata pandemica in autunno. Per essere preparati dobbiamo riorganizzare l’intero sistema sanitario, preparare quantitativi sufficienti di materiali per la diagnosi e dispositivi di protezione adeguati. Abbiamo già sacrificato 120 medici e decine di operatori sanitari che non avrebbero mai dovuto morire in questo modo. E infine dobbiamo finalmente tener presente le due regole basilari: una pandemia va fermata sul territorio; un “nuovo virus” non deve circolare liberamente negli ospedali e nelle residenza sanitarie”.
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