Alessandro Benigni
(pubblicato su Critica Scientifica il 18 Dicembre 2016)
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La pratica cartesiana del dubbio metodico è tutto sommato la spina dorsale di ogni attività di ricerca che voglia mantenere ben saldi i caratteri della serietà e dell’utilità al bene comune. Occorre dubitare, continuamente, di tutto ciò che sappiamo. Sconti, non se ne possono fare. L’epistemologia del Novecento non ha mancato di ricordarci questo aspetto fondativo: occorre continuamente verificare, testare, addirittura cercare di falsificare. Di modo che, più cerchiamo di mettere in crisi le nostre conoscenze, in ogni ambito, più diamo contributo all’edificazione verticaleed orizzontale di una scienza solida, rigorosa, capace di auto-correggersi. La verticalità della scienza, a sua volta, è ancora una bella immagine cartesiana, oltre che platonica: come molti ricorderanno, per Cartesio la scienza è una, e una sola. Matematica, fisica, biologia, chimica, psicologia, medicina, diritto, metafisica, epistemologia, e tutte le altre scienze settoriali non andrebbero intese come stanze di ricerca a compartimenti stagni, ma piuttosto come dialogo diretto, collaborativo ed incessante tra ricercatori, accomunati da una comune tensione alla conoscenza.
Da questo quadretto iniziale dovrebbe risultare chiaro come mai sia sempre il dubbio filosofico, quello appunto delmetodo cartesiano, a dover fare in qualche modo da guida e da sentinella.
Ed eccoci serviti: la sentinella del dubbio ha percepito un movimento sospetto.
Altolà.
Che fa la musica? Qual è il suo potere – se c’è – sulla mente umana?
Che cosa può passare, attraverso il linguaggio musicale, nella fase di costruzione della personalità dei più giovani?
Com’è facile notare si tratta di una domanda che chiama a rapporto diverse scienze: dalla neurologia alla matematica, dalla fisica alla chimica, dalla psicologia alla filosofia della mente (della quale, guardacaso, sempre il nostro Cartesio è stato il primo maestro).
Solo con uno sguardo integrato sarà possibile cercare di avanzare qualche ipotesi davvero significativa.
Gli effetti della musica sul cervello non sono ancora completamente conosciuti. Abbiamo un cospicuo numero di ricerche, abbiamo anche degli esprimenti significativi: insomma, sappiamo qualcosa. Ma di come, fino a che punto efino a quando la musica agisca sull’individuo in età evolutiva, sappiamo invece pochissimo.
Uno sguardo d’insieme ci dice che l’esperienza musicale è una costante in tutte le culture, fin dalla preistoria, ma ancora non è chiaro quale sia l’origine del piacere che proviamo ascoltandola e deimeccanismi che si mettono in moto quando ne siamo coinvolti. Al di là delle ricerche che si basano sulla TEP (tomografia ad emissione di positroni), che cosa succede, nel medio e lungo periodo, ascoltando la musica? E soprattutto, in altre parole:
Esiste un’influenza della musica sui ragazzi?
E se sì, quale?
Partiamo da un dato: la musica dà piacere. Due studi, in particolare, hanno contribuito a far luce sui meccanismi cerebrali coinvolti nel piacere della musica: “Il primo rivela che un brano musicale suscita piacere anche quando lo si ascolta per la prima volta grazie all’attivazione di alcune aree legate ai meccanismi di aspettativa e ricompensa. Il secondo studio dimostra invece che al di là delle differenze individuali, l’ascolto della musica classica evoca in tutti lo stesso schema di attivazione delle strutture cerebrali” (cit. da Le scienze).
In questa ricerca pubblicata su Science, “visualizzando l’attività di una particolare area cerebrale, il nucleus accumbens (1), coinvolto nei meccanismi di ricompensa, è stato possibile prevedere in modo affidabile se i soggetti avrebbero offerto del denaro per riascoltare un certo brano“. Entra in gioco la dopamina (2), ma lo stimolo musicale va ben oltre la mera sensazione di benessere: “L’attività del nucleus accumbens, […] non è isolata […] nel corso dei test, quanto più il pezzo era gratificante, tanto più intensa era la comunicazione incrociata tra le diverse regioni cerebrali. Questo risultato supporta l’idea secondo cui la capacità di apprezzare la musica faccia riferimento non solo agli aspetti emotivi, ma anche a valutazioni di carattere cognitivo”.
Nel secondo studio, invece, sempre in tema di reazioni cerebrali alla musica, Vinod Menon e colleghi della Stanford University School of Medicine, autori di un articolo pubblicato sullo “European Journal of Neuroscience”, hanno mostrato che l’ascolto della musica classica evoca un unico schema di attivazione delle aree del cervello a dispetto delle differenze tra le persone.
Quello che sembra lecito dedurre – da quanto riportato – è che “la” musica mette in moto, nell’uomo, dei meccanismi universali, che vanno al di là sia della tipologia della musica che viene ascoltata, sia dalla particolarità dell’ascoltatore. Sembra quindi altrettanto lecito dedurre che, qualora sia possibile padroneggiare compiutamente questi meccanismi universali, sia possibile, attraverso “le” musiche, ottenere degli effetti che vanno al di là del piacere musicale.
Quest’ipotesi sembrerebbe trovare conferma in un altro aspetto della musica: il suo possibile utilizzo in faseterapeutica. A questo proposito si è addirittura parlato di “musica” per guarire l’ictus: “La Nona di Beethoven, – leggiamo sull’inserto Salute del Sole 24 ore – un minuetto di Mozart o l’ultimo singolo della pop star del momento: per i pazienti colpiti da ictus ascoltare i brani musicali preferiti potrebbe rappresentare una vera e propria terapia di recupero. Lo sostiene una ricerca dell’Accademia inglese per le scienze, secondo la quale le melodie e le strofe più amate dai pazienti agirebbero da stimolo cerebrale per il recupero dei deficit visivi che si registrano nel 60% dei casi di occlusione cerebrovascolare”.
Non stiamo parlando di magia, ma, esattamente alla maniera di Cartesio, della connessione mente-corpo e di reciproca influenza.
I fondamenti neuroscientifici della musicoterapia sono del resto oggetto di ricerche e di corsi universitari. Da anni. Un esempio?
Scrive il professor Enrico Granieri, ordinario di Neurologia, Direttore della Sezione di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Psicologiche, del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli studi di Ferrara: “Le reazioni del sistema vegetativo suscitate dalla musica, avevano in origine un preciso significato biologico: quando il cucciolo sente la voce della madre, i suoi peli si rizzano e lo riscaldano. […] Ognuno di noi ha potuto avere avuto esperienza dei brividi di piacere suscitati dalla musica; – durante questa sorta di orgasmo della pelle a livello cerebrale si attiva il sistema deputato all’analisi delle emozioni e alle gratificazioni proprio come quando si prova eccitazione sessuale o si assumono droghe. Nessuna altro mezzo di comunicazione è in grado di provocare reazioni emotive altrettanto forti“. (La sottolineatura è mia)
E ancora: “la musica è psicologicamente olistica nel senso che coinvolge tutto il cervello in quanto le sue differenti componenti sono verosimilmente processate attraverso circuiti diversi […] A livello cerebrale gli ascoltatori e gli stessi musicisti hanno diverse risposte emotive ed intellettive a diversi tipi di musica“. (Il corsivo è mio)
E ancora: “Impiegata in modo esclusivo o come coadiuvante di altri trattamenti […] La musica, –depolarizzando l’attenzione e – rendendo labili i flussi informativi che non provengono dal messaggio musicale, […] introduce il soggetto in un’atmosfera psicologica dove si fanno più labili le relazioni con gli aspetti consci della personalità e più favorevoli le condizioni per vivere in modo più intenso i propri contenuti profondi”. (Anche qui, la sottolineatura è mia).
E quindi: “Si aggiungono effetti secondari come la riduzione della tensione psichica,l’abbassamento o l’innalzamento delle formazioni difensive, l’instaurazione di riflessi condizionati, e altre manifestazioni che,opportunamente controllate e analizzate, possono essere utilizzate a fini terapeutici”.
“Opportunamente controllate“, E più sopra, allo stesso modo: “depolarizzare l’attenzione“. Abbassare le difese. Insomma, da quanto abbiamo letto sulle possibili proprietà terapeutiche della musica risulta chiaro che dalle stesse proprietà si possono ottenere, almeno in linea di principio, ben altri effetti.
Molto studiato è anche il legame tra musica e memorizzazione, quindi tra musica e memoria. Da quello che sappiamo sembra che alla memoria per la musica sia adibita una
zona cerebrale indipendente dalle altre. D’altra parte, la musica entra in gioco nei processi di memorizzazione. La musica aiuta la memoria, questo lo sappiamo. Molto probabilmente in quanto chiama in causa la parte più profonda e antica del nostro cervello.
Robert Zatorre, uno dei fondatori del canadese laboratorio di ricerca Brain, Music and Sound, ha mostrato che dal momento della loro percezione da parte dell’udito, i suoni vengono trasmessi al tronco cerebrale prima e alla corteccia uditiva primaria poi; gli impulsi viaggiano quindi in reti cerebrali importanti per percepire la musica e per immagazzinare quella già ascoltata. Si formerebbe così una sorta di data-base mnemonico in grado di facilitare l’acquisizione e la memorizzazione di nuove melodie e così via.
Quindi, la musica non è solo un’attività artistica ma anche e soprattutto una forma di comunicazione eccezionale, l’unica in grado di evocare e rinforzare le emozioni in una sorta di presa diretta sulla parte più profonda del nostro cervello, abbassando le nostre difese, colpendoci in qualche modo là dove non abbiamo la possibilità di esercitare difese critiche di tipo razionale. Il meccanismo di rilascio di dopamina, implicato in questo processo, inseriscono pienamente l’ascolto della musica (al pari di cibo, sesso e droghe, per intenderci) nella cerchia di quei fattori che sono in grado di operare a basso livello nella costituzione della personalità, creando un legame molto forte tra il circuito cerebrale sottocorticale del sistema limbico, formato da strutture cerebrali che gestiscono le risposte fisiologiche agli stimoli emotivi, e la nostra rappresentazione del mondo, oltre che del sé, che ne deriva.
Come scrive Cristina Tognaccini
“A prescindere dal tipo di musica che si ascolta o si pratica, musica e canto hanno profondi effetti su ciascuno di noi, sono in grado di raggiungere l’ascoltatore ed evocare particolari emozioni, riportare alla mente immagini e ricordi. Possono indurre sentimenti, reazioni del sistema vegetativo, variazioni del ritmo cardiaco e del respiro, ma anche motivazione al movimento. Riduce l’ansia, la depressione, il dolore, rafforza le funzioni sociali, induce modificazioni cerebrali e attiva le aree del sistema dei neuroni specchio. L’ascolto della musica colpisce una serie intricata di sistemi di elaborazione cerebrali, come quelli connessi all’elaborazione sensoriale-motorio, o implicati nella memoria, nelle emozioni o cognizioni mentali o nelle fluttuazioni dell’umore”. (fonte)
Fin qui, dunque, la sintesi di ciò che al momento sappiamo sulla musica e sulla sua interazione con i processi cognitivi o le aree più profonde del nostro cervello, legate all’istinto o all’emotività. La musica dà una forma particolare di piacere, è implicata nel rilascio di dopamina, agisce sulla nostra memoria, permette addirittura di curare l’ictus, riduce l’ansia, ma abbassa anche la nostra capacità di renderci conto di ciò che (ci) succede a quando l’ascoltiamo.
Un’ultima nota. Esiste un programma in grado di farci vedere, in tempo reale, quali sono i brani musicali più ascoltati, nel mondo, in un dato momento. Insomma: c’è chi può valutare, in tempo reale, quali siano gli effetti commerciali delle produzioni musicali e quindi presumibilmente di prevedere quali siano attualmente le sonorità destinate al successo e quali invece dagli esiti incerti.
E’ a questo punto, che il dubbio filosofico si fa strada: che succede, se mettiamo tutto quello che sopra è stato ricordato, sul tavolo dell’età evolutiva?
Come valutare gli effetti, a medio e a lungo termine, di ciò che i ragazzi ascoltano?
Propongo un solo caso – temo che valga per tanti altri – in cui il dubbio dovrebbe portare ad attenta riflessione, proprio in quanto si tratta di musica destinata ai più giovani, in questo momento ascoltata in tutto il mondo.
Raccomando al lettore di guardare il video per la prima volta senza audio: fatelo scorrere muto. Solo in un secondo tempo riguardatelo alzando il volume.
Ciascuno può trarre da sé le proprie logiche conclusioni:
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