La luce della certezza: “Je pense, donc je suis”. Cartesio e la fondazione della conoscenza.

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Puntate precedenti:

1. Il genio della modernità: Cartesio

2. Metodo e logica della scoperta: che cos’è la scienza per Cartesio?

3. Cartesio e la scienza metafisica

4. Cartesio: come si passa dal dubbio alla certezza assoluta?

 


 

 

Io penso, io esisto: ecco l’unica verità che nessun dubbio potrà mai indebolire.

 

Così ci eravamo lasciati, l’ultima volta: Cartesio ci ha portato ad una verità incontrovertibile, ben più radicale, chiara, evidente, distinta, di qualsiasi deduzione matematica.

 

Per arrivarci, il test del dubbio aveva dovuto superare l’argomento del sogno:

 

Quante volte m’è accaduto di sognare, la notte, che io ero in questo luogo, che ero vestito, che ero presso il fuoco, benché stessi spogliato dentro il mio letto? È vero che ora mi sembra che non è con occhi addormentati che io guardo questa carta, che questa testa che io muovo non è punto assopita, che consapevolmente di deliberato proposito io stendo questa mano e la sento: ciò che accade nel sonno non sembra certo chiaro e distinto come tutto questo. Ma, pensandoci accuratamente, mi ricordo d’essere stato spesso ingannato, mentre dormivo, da simili illusioni. E arrestandomi su questo pensiero, vedo così manifestamente che non vi sono indizi concludenti, né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguere nettamente la veglia dal sonno, che ne sono tutto stupito; ed il mio stupore è tale da esser quasi capace di persuadermi che io dormo“. (Meditazioni di filosofia prima, I Meditazione)

 

Abbiamo visto che anche immerso nel sogno, devo esserci. In qualche modo, per dubitare, per sognare, per essere ingannato, devo necessariamente esistere.

 

Anche un Dio ingannatore non può niente, contro questa necessità. Questo era l’unico possibile argomento:

Tuttavia è da lungo tempo che ho nel mio spirito una certa opinione, secondo la quale vi è un Dio che può tutto, e da cui io sono stato creato e prodotto così come sono. Ora, chi può assicurarmi che questo Dio non abbia fatto in modo che non vi sia niuna terra, niun cielo, niun corpo esteso, niuna figura, niuna grandezza, niun luogo, e che, tuttavia, io senta tutte queste cose, e tutto ciò mi sembri esistere non diversamente da come lo vedo? Ed inoltre, come io giudico qualche volta che gli altri s’ingannino anche nelle cose che credono di sapere con la maggior certezza, può essere che Egli abbia voluto che io m’inganni tutte le volte che fo l’addizione di due e di tre, o che enumero i lati di un quadrato, o che giudico di qualche altra cosa ancora più facile, se può immaginarsi cosa più facile di questa“. (Meditazioni di filosofia prima, I Meditazione)

 

Il Dio ingannatore avrebbe potuto ingannarci su tutto. Era logicamente un’ipotesi consistente. Ma a ben vedere nessun Dio potrebbe ingannarci su quest’evidenza assoluta:

per essere ingannato, devo esistere. Per sognare, devo esserci. Per pensare, devo esistere.

 

Eccoci al passaggio chiave:

Sono io talmente dipendente dal corpo e dai sensi, da non poter esistere senza di essi? Ma mi sono convinto che non vi era proprio niente nel mondo, che non vi era né cielo, né terra, né spiriti, né corpi; non mi sono, dunque, io, in pari tempo, persuaso che non esistevo? No, certo; io esistevo senza dubbio, se mi sono convinto di qualcosa, o se solamente ho pensato qualcosa. Ma vi è un non so quale ingannatore potentissimo e astutissimo, che impiega ogni suo sforzo nell’ingannarmi sempre. Non v’è dunque dubbio che io esisto, s’egli m’inganna; e m’inganni fin che vorrà, egli non saprà mai fare che io non sia nulla, fino a che penserò di essere qualche cosa. Di modo che, dopo avervi ben pensato, ed avere accuratamente esaminato tutto, bisogna infine concludere, e tener fermo, che questa proposizione: Io sono, io esisto, è necessariamente vera tutte le volte che la pronuncio, o che la concepisco nel mio spirito”. (Meditazioni di filosofia prima, II Meditazione)

 

Non v’è dunque dubbio – dunque – che io esisto. 

Il punto è ora: “come”, esattamente esisto?

Sempre nella Seconda Meditazione, Cartesio aggiunge:

Ma io non conosco ancora abbastanza chiaramente ciò che sono, io che son certo di essere; di guisa che, oramai, bisogna che badi con la massima accuratezza a non prendere imprudentemente qualche altra cosa per me, e così a non ingannarmi in questa conoscenza che io sostengo essere più certa e più evidente di tutte quelle che ho avuto per lo innanzi“. (Meditazioni di filosofia prima, II Meditazione)

 

Massima prudenza, dunque. Quello che so, è che esisto e che sono pensante.

Null’altro.

Si tratta di un momento molto delicato. Cartesio ha trovato un punto fermo,  quel “punto di Archimede“, come abbiamo ricordato, che può dare fondamento certo, chiaro ed evidente, alla conoscenza umana. Soprattutto, si tratta ora di giocare bene le mosse che seguono: in caso contrario lo Scetticismo avrà ancora il sopravvento e tutto il lavoro fatto fin qui sarà stato inutile.

Cartesio, dunque, rallenta. Procede con la massima circospezione. Seguiamolo, con alcune considerazioni.

 

Prima di tutto ricordiamo che procedura e direzione che il filosofo ha tenuto fin qui, sono palesemente in funzione anti-scettica. E, dunque, anti-relativista. Se esiste un filosofo decisamente nemico del relativismo conoscitivo, questo è Cartesio.

In secondo luogo, Cartesio è evidentemente molto abile nel formulare affermazioni definitive, rendendole chiare ed incontrovertibili, quando in realtà, poste in un altro modo, sarebbero piuttosto problematiche. La sua capacità linguistica è del tutto eccezionale. Bisogna tenerne conto.

Prendiamo ad esempio la formulazione latina del “penso dunque sono“:

cogito ergo sum

Quel “dunque” (ergo) potrebbe essere inteso come una forma di abbreviazione del sillogismo, chiamata entimema. In altre parole, potrebbe essere così inteso: “tutto ciò che pensa, esiste; io penso, dunque io esisto“.

Ma, daccapo, se fossimo di fronte ad un sillogismo non ci troveremmo di fronte ad un’evidenza assoluta ed incontrovertibile, ma piuttosto ad una catena argomentativa, all’interno della quale potrebbe ancora insinuarsi quel dubbio iperbolico che come abbiamo visto aveva coinvolto anche le verità matematiche più evidenti.

E’ però Cartesio stesso a precisare che il “cogito ergo sum” non deve essere considerato un sillogismo. Si tratta invece di un’unica affermazione, un’unica verità non scomponibile, un’unica intuizione dotata di evidenza assoluta, di fronte alla quale non ha senso dubitare.

Tant’è vero che potremmo anche mettere tra parentesi l’ergo, il “dunque“, senza per questo modificare il senso ed il significato dell’affermazione: cogito, sum. Penso, sono. Oppure: cogito? Sum. Penso? sono.

 

Leggiamo, ancora una volta, Cartesio:

 

“Quando ci accorgiamo di essere delle cose pensanti, è questa una nozione prima, che non è tratta da nessun sillogismo; e quando qualcuno dice: Io penso dunque sono, o esisto, non deduce la sua esistenza dal suo pensiero per forza di sillogismo, ma come cosa conosciuta per sé la vede come una semplice intuizione della mente. Il che è reso manifesto da questo: che, se la deducesse per mezzo del sillogismo, egli avrebbe dovuto conoscere prima questa premessa maggiore: «Tutto quel che pensa, è o esiste». Ma, al contrario, essa gli è insegnata dal fatto che egli sente in se stesso che in nessun modo può pensare, se non esiste. Poiché è facoltà del nostro spirito di formare le proposizioni generali dalla conoscenza delle particolari”. [Meditazioni metafisiche, in Opere filosofiche, a cura di E. Garin, vol. II, Laterza, Roma-Bari 1986]

 

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Alessandro Benigni

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