(Qui di seguito i capoitoli precedenti (I-III) – Versione 3.0, non ancora definitivamente aggiornata).
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Nuova puntata. Il movimento planetario verso un riduzionismo totale è sempre più evidente, manifesto, inequivocabile. Raggiunge una violenza inaudita, impensabile. Possibile, solo in quanto i popoli sono stati attentamente preparati, le generazioni addomesticate negli anni. Abituati a pensarsi in un certo modo: un universo simbolico indotto, interiorizzato con la forza della Tecnica, dal quale derivano delle necessarie, drammatiche conseguenze. E per “conseguenze” intendo il circostante, il mondo socialmente condiviso e creduto condivisibile: quello che oggi è sotto gli occhi di tutti, nel quale tutti siamo costretti, eppure (per l’appunto) senza che tale costrizione riscuota un particolare interesse né, tantomeno, allarme. Forse aveva ragione Lacan a guardare con interesse ad un’interpretazione poetica (e però profondissima) della psicosi, in chiave di ribellione contro l’ordine costrittivo imposto dl linguaggio e dalla realtà al quale esso rimanda?
In ogni caso, i dati osservabili sono più che allarmanti (se avete voglia di spaventarvi un po’, date un’occhiata agli ultimi aggiornamenti della “monade animale”). Ma daccapo: com’è allora possibile che l’in-differenza sia così generalizzata?
Sui meccanismi di controllo e manipolazione sociale abbiamo già discusso, sulla base di diverse fonti (Overton in primis, ma anche l’effetto incorniciamento e l’effetto Dunning-Kruger, per citarne due tra i più abilmente e diffusamente utilizzati). Il principio è quello dell’ipertrofia emotiva. Niente cervello, solo stomaco. E’ la regola della comunicazione di massa, con cui l’Impero inculca i suoi messaggi. Mentre parallelamente viene erosa la libertà individuale e sociale. Lo diceva già Huxley: “Man mano che la libertà politica ed economica diminuisce, la libertà sessuale ha tendenza ad accrescersi a titolo di compensazione. E il dittatore sarà ben accorto a incoraggiare questa libertà. Aggiungendosi al diritto di sognare sotto l’influenza della droga, del cinema, della radio, essa contribuirà a riconciliare costoro con la schiavitù che è il loro destino”. (Cfr. A. Huxley, Il mondo nuovo). E’ il metodo del divide et impera. Scindi, dividi. Sarà più facile sottomettere.
Questa procedura si basa sì, su un dato fondamentalmente fisiologico. E’ infatti il nostro “cervello emotivo”, come ricordava Silvana De Mari, a non distinguere tra vero e falso. “Inoltre – prosegue De Mari – (il “cervello emotivo”) ha una memoria totale. Noi non siamo coscienti di tutto quello che abbiamo interiorizzato. Il nostro inconscio è stato quindi toccato, ispirato o inondato, da innumerevoli fattori di cui non siamo coscienti, visto che ce li siamo dimenticati, essendo la memoria del cervello razionale è estremamente limitata, come ben sappiamo quando ci dimentichiamo lezioni studiate o appuntamenti. Dato che tutto quello che vediamo e ascoltiamo rischia di appiccicarsi sul nostro subconscio come una gomma da masticare sputata sotto le scarpe, prima di esporre il nostro cervello a roba che gli entra dentro, pensiamoci un attimo: che non sia un’operazione banale da fare a casaccio. Niente zapping, miriadi di immagini slegate, niente film dell’orrore, niente immagini splat. O se sì, allora non domandiamoci perché siamo sempre più cupi. Una delle cause della diffusione sempre più brillante della depressione è la pubblicità. Il nostro cervello razionale sa che la pubblicità è falsa, il nostro cervello emotivo non lo sa; il nostro cervello razionale magari è anche arrivato alla conclusione che è meglio prendere al supermercato i prodotti non reclamizzati: non hanno dovuto sottrarre dalla qualità i soldi del marketing. Il nostro cervello inconscio non lo sa e mi dà un barlume di contentezza quando compro il marchio, il brand in termini tecnici, riconosciuto. Non solo ma le ore e ore di pubblicità che ho interiorizzato hanno dato al mio cervello l’informazione, che a questo punto è fatta di granito, che la cosa importante sono le cose. Aver visto signore e signori squittire di felicità per il bucato più bianco, i denti bianchi, la pelle più liscia, l‘auto più assolutamente qualsiasi che ti stanno spacciando per unica al mondo, il divano sempre il saldo al 50%, ha piantato nella nostra mente come chiodi l’idea che tutto quello che conta sia tangibile, l’idea che tutto quello che conta sia tangibile. Un’infinita attenzione ai bambini. Un televisore spento, che viene acceso solo a una determinata ora per guardare quel determinato programma e spento subito dopo, può essere una buona soluzione. Quando guardiamo la televisione con i bambini, sempre, senza saltarne una, avvertiamo che le pubblicità sono fesserie. Non solo è quasi sicuramente falso che quel prodotto sia migliore degli altri, ma è sicuramente falso che sia così importante averlo. Tutte le volte che qualcuno sorride facendo una determinata azione, sta passando messaggio, sta programmando il nostro inconscio. Noi siamo normalmente e fisiologicamente portati a imitare le azioni delle persone che sorridono. Se quella roba li ha fatto così contento quel tizio là, magari fa contento anche me. Quindi si crea nel mio cervello una necessità inconscia a quell’oggetto. I terrificanti capricci che i bambini fanno per ottenere oggetti pubblicizzati da gente sorridente, sono semplicemente logici. La colpa è nostra che abbiamo permesso che il cervello dei nostri bambini fosse sguaiatamente esposto a una forma così plateale e brutale di controllo mentale. Nessuno fa pubblicità a come sia bello camminare , come sia bello volersi bene, come siano belle le stelle, che potenza dia pregare. Nessuno dice che queste cose sono quelle importanti. […]. (Da un post Facebook di Silvana De Mari).
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Cerchiamo ora di rivedere il tema da un altro punto di vista, toccando questa volta due nuovi argomenti (correlati tra loro e ai precedenti).
Primo: la scuola di massa (in questo capitolo: come la de-gradazione scolastica influisce sul sistema sociale)
Secondo: l’economia (come il setting finanziario e l’assetto economico favoriscono la manipolazione sociale, nel prossimo capitolo)
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1. De-grado della formazione scolastica: quali effetti?
La scuola di massa è oggi la principale agenzia di annichilimento delle capacità logico-critiche degli individui. Lo dimostra, sulla base di un comune buon senso, una banale comparazione di un tema di quinta elementare della scuola di cinquant’anni fa con un tema di un odierno bravo studente di liceo.
La critica al sistema scolastico non è certo una novità, da Papini ad Illich qualcuno ha addirittura proposto (e non certo senza validi argomenti) di chiudere le scuole. Quello che però a me sembra chiaro è che che oggi, qui più che altrove e in altri tempi, sia in atto un programma scientificamente finalizzato al de-grado. La sua ratio è appunto il de-grado stesso, ovvero l’abbassamento del grado di difficoltà di qualsivoglia materia, atrofizzandone l’operatore cognitivo corrispondente, fino ad ottenere un diffuso instupidimento della popolazione scolastica in uscita.
Da qui deriva progressivo e sempre più inoppugnabile tentativo di ridurre la coscienza individuale (dopo averla completamente naturalizzata, ovvero averla ridotta a mero dato materiale sul quale poter intervenire come su un organo fisico qualsiasi), spostando ogni attività scolastica su competenze limitate e limitanti, invece che sulla maturazione individualizzante, armonica, psico fisica, quindi totale, della persona. Nonché sulla sua capacità di costruirsi una mappa-del-mondo coerente e significativa, nella quale orientarsi in modo autonomo.
Abbiamo già ricordato a questo proposito, nei primi tre capitoli, la lucida analisi di Salvatore Settis, ex direttore della Normale di Pisa). Osservazioni del resto che vanno nel solco già tracciato dal filosofo Stuart Mill, più di un secolo fa: “L’università – scriveva – non è stata concepita per offrire le conoscenze che consentano di accedere a un particolare modo di guadagnarsi da vivere. Il suo scopo non è quello di preparare e dotare di competenze degli avvocati o dei medici oppure degli ingegneri, ma è quello di formare degli esseri umani colti e capaci” (John Stuart Mill, Discorso al rettorato della St Andrew’s University, 1867)
Molte, oggi, le voci che danno l’allarme: il fatto è che sembra tutto inutile. Ed è perfino logico che sia così: il sistema divora, digerisce, assimila tutto. Ha anche uno spazio predisposto per i dissidenti: collocati al giusto livello di visibilità, in modo che ci siano, si vedano, si sentano. Ma non facciano danni. Insomma: quello che insistono a far passare per “progresso” sembra dotato di una spinta inarrestabile.
Prendiamo in esame l’ultimo caso: un nuovo passo verso la completa riduzione a quelle che io chiamo “monadi animali” è appena stato compiuto, proprio nella scuola. Nella nostra Scuola. A dire il vero è un pezzo che, così impostata, la scuola italiana produce individui scissi: delle proto-monadi che sanno fare alcune cose, ma sono sempre più incapaci di una visione d’insieme, di una weltanschauung, di una mappa-del-mondo. Detto in altri termini: impossibilitati a rendersi conto e a comprendere ciò che accade intorno. Dentro e fuori di sé. Si mira alla creazione di un nuovo modello di cittadino: un individuo scisso, una monade-animale, confuso sulla sua identità, a partire da quella sessuale, convinto che in questa realtà liquida non esista alcuna verità assoluta, per la quale valga la pena vivere, lottare, soffrire e magari anche morire: è un individuo incapace di criticare e di opporsi a qualunque potere costituito, buono o cattivo che sia. Un individuo ridotto ad un niente infinitamente manipolabile, una forma perfetta di oggetto di consumo. Meglio ancora se allo stesso tempo soggetto ed oggetto di consumo, a seconda delle necessità del Mercato (dell’Impero).
Osserva giustamente Semerari che già il vecchio Weber, non aveva esitato a denunciare il pericolo di un’età degli “specialisti senza intelligenza“, preoccupati solo di applicare gli schemi concettuali di una razionalità tecnico-formale burocraticamente organizzata, ovverosia solo intenti “a costruire la gabbia di quell’assoggettamento dell’avvenire, al quale un giorno forse gli uomini, simili ai fellaga dell’antico Egitto, saranno costretti ad adattarsi impotentemente, se per essi una sistemazione buona dal punto di vista puramente tecnico… è il valore ultimo e unico che deve decidere sul genere della loro attività” (M. Weber, Gesammelte politische Schriften, Tübingen, 158, p. 320, cit. in G. Semerari, Filosofia e Potere, Dedalo, Bari, 1973, p. 212).
Ma il disprezzo nei confronti di una autentica “formazione spirituale umanistica”, in realtà, non è altro che il disprezzo nei confronti dell’intelligenza – nel senso originariodel termine, che viene da intelligere, ossia legere intus (“dentro”) o inter (“tra”). Nelle monadi-animali, svuotate di coscienza e scisse nella loro “dividualità” che impoverisce una società intera, l’intelligenza è dunque impossibile, per definizione.
In estrema sintesi, l’argomento è semplice: per criticare occorrono sensi e cervello. Ben connessi, se possibile. Operatori cognitivi ben sviluppati, ben allenati. Efficienti. Se limitiamo gli stimoli, l’allenamento, la fatica, se abbassiamo l’asticella e facilitiamo tutto il percorso formativo, otteniamo il risultato opposto. E in questa direzione va indubbiamente la notizia (la prendiamo questa volta dal Corriere della Sera): d’ora in poi, per legge, nessun bocciato fino alle superiori: aiuti per tutti, scuole sempre aperte, conquista dell’autonomia sempre più posticipata, rimandata, e nell’attesa, che sia tutto più facile. L’asticella viene abbassata ancora una volta.
Le conseguenze più immediate di questa mania (etim.) didattica sono così evidenti, perfino dal più comune e diffuso buon senso, che non credo valga la pena discuterle più di tanto.
Forse (e sottolineo forse, visto il livello di sfacciataggine con cui il piano di attenuazione delle coscienze ed alleggerimento delle intelligenze viene portato avanti) vale invece la pena di riflettere sull’ideologia che sottende a quest’ennesima manovra che ci viene imposta dall’alto.
Il tutto, è chiaro, ormai quasi del tutto bypassando la politica, come ha ingenuamente ammesso un famoso cantante nostrano che è stato invitato ad un incontro (quasi) segreto dei moderni burattinai. “Un summitt.. segret… ehm… privato… molto molto esclusivo…”… ascoltate, c’è da restare a bocca aperta:
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Quindi: a chi serve il divieto di bocciatura? A chi o a cosa fa bene? A vantaggio di chi, una ulteriore facilitazione dell’esame di Stato? Et similia.
Sembrano dati insignificanti, a colpo d’occhio. Vero? “E che sarà mai? Poveri ragazzi…”. Ma è proprio questo il punto: eliminare gli ostacoli, la capacità di gestire stress, ansia, insuccessi, arricchisce o impoverisce i nostri giovani e la loro capacità di orientarsi, difendersi, criticare, giudicare, e così via?
Mi fermo qui, il rischio di scadere in toni demagogici è alto. Ed è esattamente quello che l’Impero prevede, quando provoca in questo modo. Por poi accostare tutto al meltin’pot di sciocchezze, sul modello delle scie chimiche, e risolvere tutto con un’alzatina di spalle ed un sorriso.
(Tra parentesi: mi dà però da pensare che solo qualche giorno fa, nei precedenti capitoli di questa raccolta di orrori pubblicata on-line, preannunciavo la fine facilmente prevedibile di questi ragazzi: a friggere patatine. Della serie “Quod demonstrandum”: «Alternanza scuola-lavoro, accordo tra Miur e McDonald’s. Cgil: “Perso connotato didattico di questo aspetto formativo”». Sembra una barzelletta? Leggete qui).
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Coincidenze?
Passiamo invece ad un altro concetto: non è un caso. Non sono coincidenze. Non si tratta di un’agenda estemporanea, di un’iniziativa isolata, di una “macchietta” che riguarda (solo) l’amministrazione scolastica, e la si chiude lì. Gli effetti non sono limitati, e non lo saranno mai: nella società liquida tutto influisce su tutto. Anche una barba non perfettamente rasata.
E si badi bene: la questione riguarda la salute mentale, di tutti. Non solo dei giovani che – a loro insaputa – si ritroveranno sotto un rullo compressore spaventoso. Circondati da televisioni-spazzatura, pubblicità con occulti messaggi ideologici pesantissimi e di inaudita violenza, per quanto ben mascherate, musica volgarmente ipnotica, e chi più ne ha più ne metta, saranno pure de-privati del diritto di essere in-dividui, formati alla comprensione, alla valutazione, al giudizio, alla critica del circostante.
Un esempio, un po’ per tutti? Ne scelgo uno datato, presupponendo l’età media del lettore.
Era uno spot divertente, vero? Ma qual è il messaggio dissimulato che passava (o meglio che passa, visto che questo è lo stile di tantissime reclame)? Semplice: la donna vale meno dell’automobile in questione. È più figo pagare le rate di questa berlina. Per le ragazze in età evolutiva: siete in competizione con delle ruote e un motore. Tenetelo a mente. Anzi: tenetelo inconscia-mente. Nemmeno con gli animali, ma addirittura con le berline, con il piacere “della guida”. Mi viene in mente che dovrò aggiornarmi: l’idea che ci stiano riducendo a monadi animali è fin troppo debole. E’ molto peggio di così.
Ma quello che si interiorizza, senza una critica consapevole, è tantissimo. Lo abbiamo visto prima, si tratta del cervello emotivo, della memoria emotiva. Lavora anche (soprattutto) quando non ci facciamo caso. Quando dormiamo. Ogni giorno. Ogni notte. Anche per i più allenati ad interpretare il prossimo ed il circostante. La critica – a prescindere – richiede, daccapo, operatori cognitivi minimamente attrezzati. Ma anche laddove vi fossero, si tratta di un’azione volontaria che viene crono-logicamente dopo l’immersione in questa pseudo realtà costruita ad arte ed indotta. E’ infatti impossibile, per chiunque, chiarificare i nessi e svelare i sofismi, giungendo al messaggio occulto, dal vico, al volo, mentre passa il messaggio: non è “il meccanismo narrativo” pubblicitario, come qualcuno potrebbe erroneamente pensare, bensì il messaggio subliminale nascosto (sub-limen, sotto la soglia dell’attenzione che arriva dritto alla nostra rappresentazione di noi e del mondo. e la modifica. Mettiamo tutto insieme: un treno di pubblicità, programmi che mirano a tralasciare cose per portare l’attenzione solo dove si vuole, show televisivi che propugnano un degrado continuo (e non solo dell’immagine della donna), e potremmo andare avanti con un elenco infinito o quasi . In questo caso a me sembra evidente che al di là dell’elemento superficialmente ironico, è quello che viene ad essere assorbito, a mo’ di spugna, mentre distrattamente guardi, magari tra uno zapping e l’altro, che viene ad infettare la rappresentazione del sé. La sequenza è (adesso) lampante: 1) un vero figo ha la macchina, mica la moglie o la fidanzata. E’ rigorosamente single. O, casomai, mette le cose nel giusto ordine d’importanza (“tutto il resto può aspettare“). 2) un vero figo non ci pensa nemmeno ad avvicinarsi ad una bella ragazza: pensa solo a guidare 3) un vero figo pensa alla macchina prima di tutto, a costo di coprirsi di rate 3) ragazze, attente: siete in competizione con della ferraglia. Questo è quello che valete. Questo è, in fondo, quello che meritate. E la sequenza logica continua: se sono contento di meritare qualcosa, sarò felice quando questo qualcosa mi viene dato, ma in cambio di qualcos’altro. In parole semplici: non si vale in quanto tali, la dignità, il valore dell’essere-umano non attiene più alla sfera ontologica, ma a quella della prestazione: si vale nella e per la competizione, nelle regole e nei valori che l’Impero ci impone.
L’ironia (come l’arte, l’arredamento, la moda, gli accessori, e così via) è un pretesto per passare un messaggio sotteso ad una dinamica ben precisa. La costruzione narrativa è un mezzo, il fine è vendere, indurre al consumo, spersonalizzare e de-individualizzare (ci torneremo più avanti) fino al punto di aver disperatamente bisogno solo di consumo.
Niente relazioni, solo attori ed oggetti di consumo. Meglio, se nello stesso tempo si incarnano entrambe le dimensioni, a seconda delle esigenze del Mercato (quello che io amo chiamare l’Impero).
D’altra parte se siamo convinti di essere riducibili ad animali, sarà più facile pensarci come tali (e quindi, più o meno consapevolmente, bisognosi delle stesse attenzioni, portatori della stessa dignità, esigenti gli stessi diritti). E così via. In modo tale che la lotta per i “diritti” delle bestie si presenta per il contrario di quello che è: una lotta per la riduzione dei diritti umani (dopo la loro assimilazione al mondo animale, perché no?)
Non a caso, abbiamo anche l’accessorio per leccare i gatti:
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E – sempre non a caso – la carne di animale è diventata sacra. Inotoccabile. Specularmente, è l’uomo-onnivoro ad essere ridotto a niente.
Il trionfo del nichilismo? Lo vedete in esternazioni come queste:
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Anche da follie come questa risulta evidente il lavoro sotterraneo svolto da un certo darwinismo-scientista, nella sua furia normalizzatrice e riduttivistica, operato da due secoli a questa parte: siamo di fronte ad un capovolgimento totale del concetto di sacralità. Una volta che l’uomo è stato equiparato ad animale, ne risulta che l’animale è sacro tanto quanto l’uomo, se non addirittura meritevole di più attenzione. Da ciò deriva logicamente una de-sacralizzazione dell’umano, cui aborto, pedofilia (in tutte le sue versioni, compresa quella “soft” proposta da Dawkins), riduzionismo estremo, violenze di ogni tipo, diffusione ddell’omosessualismo (“perché anche i Bonobo lo fanno“), indifferentismo sessuale (“non lo sai che i cavallucci marini covano le uova e pure i pinguini maschi curano le covate?“), et similia, non sono che appendici di cornice. L’appiattimento di tutto, non solo la riduzione ad un unico modello unisex, come molto lucidamente hanno spiegato Marletta e Perucchietti, ma ad un unico indistinto calderone animalesco, in cui si può fare quello che si vuole e di cui il potere si può cibare come vuole.
Tornando al fotogramma dive si augura la morte per quel bambino, colpevole di addentare una bistecca: siamo quindi di fronte non ad un caso isolato, ma piuttosto ad un altro tassello di un mosaico più vasto, la cui scena principale è la riduzione dell’uomo ad ente isolato, incapace di riflettere e di comunicare sul senso e sul valore di ciò che vive, di ciò che accade. Incapace di prendere decisioni, di criticare il circostante, il politico, il famigliare, l’intero spettro della propria dimensione umana. Una monade-animale, appunto.
Ecco perché la Scuola è così importante. Le persone hanno diritto di potersi individualizzare. Hanno diritto all’individuazione. Sì, ad essere in-dividui, ovvero esseri non-scissi, non facilmente manipolabili. Con la schiena dritta e la testa ben fatta. Ma si tratta di un processo che non è automatico: occorrono limiti di contenimento, strutture strutturanti (la prima delle quali è la famiglia), che si diano determinate regole. E invece no: per i nostri ragazzi sarà tutto più difficile. Molto più difficile di quanto non lo sia stato per quelli della mia generazione, e ancora di più per la precedente, per quella di mio padre, di suo padre e su su ancora: nel tempo in cui una vita durissima rendeva più facile vivere.
Come abbiamo visto, i più “fortunati” (si fa per dire) riusciranno ad acquistare le tanto blasonate “competenze”. Una volta interiorizzato il loro valore di mercato (ridotto a “quello che sanno fare”), dal mercato saranno assorbiti. Carne da macello. I meno fortunati? Schiavi nei call center o a friggere patatine. E via.
E’ questo il modo con cui il controllo sociale viene pompato e capillarmente diffuso: aumentare la percezione d’insicurezza (diminuire le forze armate ed aumentare l’immigrazione, rendere la gisutizia sempre meno certa, complicre l’apparatoi burocratico, e così via). Una società insicura, immersa nella paura, è di per sè più vulnerabile, più facile da controllare, da indirizzare dove si vuole.
Se in questo contesto aggiungiamo il depotenziamento cognitivo, anziché l’incoraggiamento allo sviluppo di una individualità critica e consapevole, il gioco è fatto. La tanto esaltata (a mio parere non sempre a buon diritto, ma questo è un altro discorso) democrazia perde i suoi anticorpi vitali minimi, i suoi argini di contenimento, e diventa un’altra cosa. Come minimo demagogia. Il cui sbocco finale è l’oligarchia.
Questi hanno capito benissimo la lezione di Platone, rovesciandola: se voglio indebolire la pòlis, la città, la comunità, lo Stato, devo prima di tutto indebolire l’anima dei cittadini. Perché tra anima e città esiste (dovrebbe esistere) una perfetta analogia, una rigorosa simmetria. Detto questo, il gioco è fatto: indebolisco la consapevolezza dei cittadini, otterrò come effetto un indebolimento delle difese della comunità. Sarà quindi più facile pilotarne il consenso verso interessi di parte, magari ben mascherati da bene comune.
Per questo fine, la tecnica migliore sembra essere un attacco leggero e simutaneo, condotto su più fronti. E così che immigrazione incontrollata, folli politiche di assistenzialismo, depotenziamento degli organici preposti all’istruzione (a partire dalle regole della Scuola e dai programmi che vengono impartiti), alla sicurezza e alla giustizia, depotenziamento delle conoscenze (e quindi della capacità logico-critica) delle future generazioni in uscita dalle scuole ed università, normalizzazione dell’abuso di sostanze psicoattive (non solo droghe ma anche psicofarmaci di ogni genere e categoria), etc. costituiscono una specie di accerchiamento rispetto al quale l’individuo non può avere la minima capacità di reazione significativa.
Del resto, la Psicosi (sociale) si nutre anche di questo:
Viene in mente Pasolini, quando lucidamente affermava che l’adesione a quella che per lui era già “la società dei consumi” dovrà essere totale e incondizionata. In effetti, l’Impero non reprime il dissenso, a differenza del fascismo: piuttosto opera affinché esso non possa neppure costituirsi. “Anestetizza lo spirito critico dei suo sudditi, ridotti allo stato di bambini in cerca di godimenti mercificati”, come ha scritto Diego Fusaro.
Quanti anestetizzanti abbiamo?
E’ il metodo della riduzione a monade-animale, il metodo che affonda le sue radici nella naturalizzazione della coscienza.
E’ da qui, che si deve ripartire. Dalla pretesa di considerare l’essere umano alla stregua di un animale (evoluto, ma pur sempre solo un animale), derivano conseguenze radicali.
A dire il vero, la pretesa di naturalizzazione della coscienza è in atto da parecchio tempo, ed è orientata. Lo scriveva già Husserl nel 1911 in un articolo piuttosto denso (Cfr. La filosofia come scienza rigorosa, pubblicato sulla rivista Logos, fondata non a caso da un neokantiano, ma il discorso si farebbe troppo ampio). Se la coscienza è riducibile ad un dato materiale ne consegue che verità e falsità dipendono dalla conformazione cerebrale e dalla storia evolutiva della specie. Quindi, non sono assoluti, bensì relativi.
Tac.
Se la verità non esiste, posso inventarmela. Fine della salute mentale, oltre che del rigore filosofico.
Da un punto di vista psichiatrico questo atteggiamento porta alla psicosi. Che può essere, perché no, sociale. Un esempio? Ricordiamo quello che scriveva Italo Carta:
“Quando si abolisce il principio di evidenza naturale la mente compensa con squilibri psicotici gravissimi. Per questo pensare di introdurre l’uguaglianza dei sessi come normale significa attentare alla psiche di tutti. Penso poi ai più deboli: i bambini. Se gli si insegna sin da piccoli che quel che vedono non è come appare, li si rovina. Ripeto, pur non essendo solito fare affermazioni dure, dato che gli omosessuali sono persone spesso duramente discriminate, non posso non dire che introdurre l’idea che la differenza sessuale non esiste, e che quindi non ha rilevanza, è da criminali“.
(Per chi non lo ricordasse, il prof. Italo Carta è stato ordinario di psichiatria e direttore della Scuola di specializzazione in Psichiatria all’Università degli studi di Milano).
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Largo spazio dunque alla psicosi sociale sulla quale possiamo innestare senza obiezioni qualsiasi operazione di mercato: perfino l’affitto degli uteri e la vendita dell’uomo, nell’esaltazione generale per la conquista di “nuovi diritti”. Un’euforia evidentemente psicotica, ma tant’è.
L’Impero va avanti.
Di fronte a questo annichilimento planetario, a questa forza distruttrice di spaventosa radicalità, solo una società guarita può reagire. Ma una società sana è fatta da in-dividui la cui salute mentale è preservata. Difesa, protetta, in ogni modo. A partire dalla stampa indipendente, dal pensiero critico, dalla contestazione, dalla fedeltà all’evidenza, più che all’interpretazione.
Solo un *in-dividuo* può amare, perdonare, relazionarsi, Riuscire. Nella dialettica del divisibile, l’io resta imbrigliato nella zona emotiva della paura o dell’ipertrofia del principio di piacere, perennemente scisso nel non sapere chi è, cosa vuole, quanto vale: il nano delle proprie paure o il gigante dei propri sogni?
E’ a questo punto che entra in gioco il trucco dell’Impero: diffondere l’idea dell’intepretazione. E’ tutto interpretabile, non esistono verità assolute. Ogni verità dev’essere assorbita, digerita, superata. L’idea è quella di abbassare l’asticella dunque non solo del sapere, ma anche del male morale (negare quindi la radicalità del peccato) in modo da godersi l’idea artificiosa di farcela da soli.
Al *dividuo* piace vincere facile: per questo oggi il buonismo dilaga.
Ma l’in-dividuo è un’altra cosa: è per sua natura capace di ribellione, consapevole della propria inviolabile sacralità. Della propria, come di quella altrui: per questo un in-dividuo è capace di lottare e di ribellarsi all’Impero, fino al sacrificio si sé.
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Alessandro Benigni, Ottobre 2016
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